
Cena di gala in un padiglione in un parco di Budapest.
Dopo l’antipastino triste, vale a dire un pezzo di sgombro infilato come una bandierina su delle fette di mele (NB: ai vegetariani hanno propinato lo stesso piatto, ma senza sgombro) arriva, come primo piatto, un unico, desolato e triste raviolo.
Mi guardo in giro per capire dove sia l’errore, magari il mio piatto è uscito male dalla catena di montaggio. Ma purtroppo vede che per tutti è così: a ciascuno spetta un misero raviolo, come durante il comunismo. Lo mangio lentamente, con cautela, in modo da non appesantire il mio stomaco delicato.
Dopo 10 minuti, sorpresa, il cameriere porta del consommé, e la cosa si intorbidisce ulteriormente: il raviolo non era stand-alone, ma andavo affogato!

Solo che nessuno mi aveva avvertito, oppure lo hanno pure fatto, ma in idioma ungherese. Sconfortato chiedo se sia avanzato un raviolo in cucina, ma mi rispondono di no. I ravioli erano tutti rigorosamente contati.