
Ogni tanto mi piace ricordare avvenimenti assurdi occorsi in gioventù. Questa vicenda risale al 1992, quando mio padre mi permise, per la prima volta, di espatriare con la sua macchina, una Lancia Y10, il primo modello messo sul mercato con cambio automatico. Per ragioni di sicurezza il mio caro archetipo fece installare nella macchinetta uno speciale antifurto, consistente in un bottoncino nascosto sotto il volante e che, una volta inserito, interrompeva completamente il sistema elettrico.
Probabilmente si trattava di un espediente che i ladri mediamente esperti impiegavano circa 30 secondi a riconoscere ed individuare, però l’elettrauto di mio padre era furbo ed infatti era riuscito a venderne ed installarne parecchi. Così nel settembre del 1992 partii da Recanati per il Belgio ed iniziò la mia avventura europea. Dopo aver attraversato Italia e Svizzera, entrai in Germania e decisi di fermarmi in un’area di servizio appena dopo Basilea.
Poiché si trattava della prima sosta in terra straniera (in Svizzera non mi ero mai fermato) decisi, per precauzione, di inserire il famoso bottoncino: non sia mai che i tedeschi impazziscano e decidano di rubare una macchina italiana, e magari proprio la mia! Così, tranquillo e rassicurato, andai al bar della piazzola a prendere qualche cosa.
E qui iniziano i fatti oggetto dell’autodenuncia. Quando tornai alla macchina successe qualche cosa che la psicanalisi non ha mai definitivamente spiegato: rientrando in macchina mi dimenticai completamente dell’esistenza del bottoncino. Ed infatti la macchina non partì, sembrava morta. Io mi preoccupai parecchio e cominciai a chiedere aiuto nel parcheggio. Per fortuna vi erano parecchi automobilisti lì intorno che facevano sosta come me e molti si interessarono del caso, tanto che ad un certo punto l’interesse per la macchinetta italica che non partiva divenne una vera e propria gara.
I più fanatici e scatenati erano ovviamente gli italiani, che formavano una sorta di “cerchio magico” attorno alla vettura, ed attorno c’era il resto del mondo che anch’esso si prodigava per me. Divenni una sorta di attrazione del parcheggio: la gente che partiva veniva sostituita da quelli che arrivavano nell’area di sosta. La macchinetta fu attentamente esaminata, smontata e rimontata, trainata, spinta, più volte, ma invano. Ricordo ancora le espressioni sconfitte, deluse e scornate di coloro che convinti di sapere tutto di meccanica dovettero ammettere la propria impotenza. Un professore ungherese suggerì che la macchina potesse essere posseduta dal Demonio.
Cominciò a farsi notte e pian pianino tutti partirono, ed io rimasi solo, disperato, nel parcheggio tedesco. A quel punto mi decisi a chiamare l’ADAC, cioè l’ACI tedesca, cosa che avrei voluto evitare perché mi costava 100 marchi, ma alla fine fui costretto. Dopo venti minuti arrivò il camion dei Ghostbusters, ne discese un tipo con la tuta di SuperMario il quale guardandomi con la consueta umiltà dei tecnici tedeschi mi fece capire che avrebbe individuato il problema in pochi nanosecondi. La mia macchinetta subì varie TAC ed encefalogrammi, con il camion dell’ADAC che si illuminava come l’astronave di ET. Tutto inutile.
Il tipo dell’ADAC, scornato, rifiutò di farsi pagare e, anzi, offrì di trainarmi fino alla più vicina concessionaria della Lancia. Così fece e, visto che ormai era mezzanotte, io decisi di dormire lì perché non era il caso di spendere soldi in alberghi. Passai quindi la nottata in macchina quando, alle prime luci dell’alba, verso le 6.30, nel torpore mi si aprì un flash: “Cazzo, il bottoncino!”. Misi le mani sotto il volante, lo spinsi, girai la chiave e la macchina magicamente si mise in moto (ed infatti era un miracolo che non si fosse ingolfata dopo quello che aveva subito). Partii immediatamente per Bruxelles e ricordo che durante il percorso evitai accuratamente qualsiasi esame di coscienza su quello che era accaduto, abitudine che in seguito si è rivelata molto utile per la mia autostima nonchè per il prosieguo della mia carriera.