
A Roma persino i barbieri cinesi sono chiusi il lunedì. Così, nella mia disperata ricerca di taglio di capelli, ho scoperto gli indiani di Piazza Vittorio, che invece restano aperti, in sfregio ai vicini asiatici. Sia benedetta Visnù!
Il barbiere indiano non lavora in solitario come l’italiano: infatti la bottega è piena di parenti ed amici che stanno lì a leggere, attaccarsi al wifi e vedere la TV. Quando sono entrato si sono tutti alzati in piedi e mi hanno fatto un sacco di feste, francamente non si capiva chi fosse barbiere e chi no, comunque se solo avessi millantato di avere un elefante bianco in giardino mi facevano sicuramente assessore.
Durante il taglio il barbiere indiano parla poco e non ti informa, a differenza di quello italiano, dei fondamentali dell’economia e delle bassezze della politica che i media non ti dicono. In compenso, ti fa sentire in sottofondo i film di Bollywood, che vengono proiettati in continuazione in una saletta adiacente.
Avendone ascoltato per 40 minuti ma senza vedere lo schermo, ho capito che i film indiani si compongono di 3 parti, che si ripetono ossessivamente fino a stordirti: il primo Atto è musicale e cantato, con quelle musichette che intontiscono anche i serpenti velenosi; il secondo Atto è recitato, si sentono le voci di un uomo e di una donna che, verosimilmente, discutono della loro relazione amorosa a 30 metri di distanza l’uno dall’altra. L’atto termina con un gran vociare indistinto, immagino si tratti dei fratelli di lei, e della madre di lui, che fanno irruzione sulla scena; il terzo Atto è d’azione e consiste interamente di rumori di cocci e vetri rotti. I tre Atti sono a volte separati da barriti di elefante. Finito il terzo Atto, si ricomincia con la sequenza musichetta-vocette-coccirotti ma per fortuna il taglio di capelli è ormai alla fine.
Il barbiere indiano è bravino, mai però fare il battutone chiedendo un taglio “al curry”, magari esiste pure.