Lo yoga acquatico (prima puntata)

Float-Piloga

Lo yoga acquatico è una disciplina che si pratica in situazioni di malinteso, cioè inizialmente pensando che trattavasi di qualcos’altro.

Ed infatti, io stavo gironzolando in una certa  palestra inusitatamente costosa quando, ad un certo momento, assieme ad altri appesantiti cultori della materia scesi dall’albergo ai piani superiori, abbiamo scorto giù in piscina dei materassini galleggianti con sopra delle gentili donzelle in modalità cazzeggio. La scena, molto poetica, mi ha ricordato l’inizio della saga dei Nibelunghi in cui uno dei personaggi, Alberico, osserva le Ninfe del Reno e si avvicina per attaccare bottone. NB: sia nella saga germanica che nella versione wagneriana Alberico viene perculato dalle ninfe e gli viene una crisi isterica, ma questo perché si muove con la grazia di un wurstel, mentre invece con lo charme italico sarebbe tutta un’altra cosa.

Così, visto che c’è un materassino libero mi precipito. Passano pochi minuti e però arriva una tizia che comincia a battere le mani, come le istitutrici di certi brutti film ambientati nei collegi svizzeri. Ahi.

Per prima cosa la tipa fa una introduzione in franscese che neanche si capisce salvo qualche riferimento a zeng, yang, yama e yogurth e va bene così. Poi però all’improvviso fa uno scatto e grida “Début”! Cioè, in piedi? Su un materassino galleggiante? Non è possibile, cerco di farle capire. Queste cose le possono fare i sardi o i brasiliani a casa loro che hanno il mare, ma non lo si può chiedere ad uno che va a cocktails in terraferma.

Noto però che le donzelle ci provano, pur con obiettive difficoltà, e quindi inizio ad osservarle per carpire la tecnica segreta. In pratica bisogna partire da una posizione a quattro zampe (già di per sé critica) e poi alzare gradualmente busto e braccia fino ad arrivare alla fase bipede. Però è difficilissimo ed accanto a me sento numerosi rumori di tonfi in acqua, che aumentano ansia ed agitazione.

Alla fine la tecnica da me utilizzata è quella che battezzo “2001 Odissea nello Spazio”. In poche parole ci si alza con la stessa velocità delle navicelle che attraccano all’astronave-madre, ma con un respiro di sottofondo molto più affannoso di quello del film. Arrivati alla posizione bipede si guarda solo in avanti con la pupille spalancate e non si muove un nervo per non correre il rischio di tornare di sotto.

(TO BE CONTINUED)

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